Scrivere di Londra come un semplice viaggio sarebbe troppo semplice. Basterebbe elencare le varie cose. Descriverle e tutto finirebbe lì.
Ma non rappresenterebbe niente. E’ importante poter osservare Londra nelle piccole cose che la caratterizzano. E anche se in tre giorni non si può avere una visione precisa della città possiamo comunque delineare alcuni tratti caratteristici e particolarmente unici di questa City.
Quali? Io ne voglio guardare solo uno.
Il gap.
“Mind the gap” dice la voce della metropolitana. “Mind the gap”. Attenti al gap. Alla distanza, al vuoto, al niente ed al tutto. Nel mezzo tra tu e il tuo arrivo.
Quello è il gap. La divisione. Una voce orwelliana te lo ripete ogni volta.
Ogni volta che ti si aprono le portiere della metro davanti.
Ogni volta che fermo ad aspettare vedi le persone scorrerti attorno come ruscelli di campagna.
Ogni volta che dovrai farlo, quel passo, che salta quel gap a volte invisibile
Un gap presente ovunque. Che a volte scompare, altre riappare.
Il gap tra le razze. Un disegno di colori perfettamente integrati tra loro. Un gap così sottile che fai fatica a vederlo.
In italia vedi un marocchino, un giapponese, un thailandese, un qualunque personaggio e parlano la loro lingua.
Lì parlano tutti inglese. Non c’è distacco, non c’è gap. Tutto è mescolato con maestria tra le case originali di lontra, tra le auto e i bus rossastri che si aggirano tutto il giorno nelle strade londinesi.
Il gap è anche la distanza. Tra una parte di londra e l’altra. Infinita la città, infiniti gli universi che riesci a scorgere da là dentro o da la fuori.
Trovi una periferia che sembra uscita da un giocattolo con Barbie e Ken, oppure arrivi in città, e mille sono le architetture che giocano con la tua fantasia, che si distinguono, che si differenziano, che si distanziano.
Gap. Appunto.
Come il gap tra i piccoli negozi e quegli angoli così dannatamente uguali.
Eat. Garfunkel‘s. Angus Steak. Burger King. Cafè Nero.
Parole scritte ovunque. Ma non sono Graffiti. Non sono affreschi, non sono memoriali.
Sono commercio. Quello gigante, delle multinazionali. Che stona con tutto il resto.
Perchè vedi città diverse dentro Londra, ma vedi sempre quegli angoli così uguali con quei maledetti nomi a ricordarti che siamo ancora lì. Che c’è ancora quel terribile presentimento che un giorno tutti non avranno nomi. Che saremo solo un unico pensiero stagliato dentro questa misera vita.
E non conteremo più gli anni, non ordineremo più qualcosa al ristorante.
Perderemo tutti quei dettagli che ci rendono unici, indimenticabili, umani.
Ma per fortuna non muore di questo, la città. Non affoga in questi luoghi comuni, sebbene si senta, quel marcio tremendo a corroderla.
A volte è anche contrasto.
Come quando, dentro Harrods, senti quel tremendo odore di fritto.
Fish and Chips, dicono loro.
E il capitan findus ringrazia.
Un bastoncione findus pronto ad essere annegato da salse improbabili e a rendere irrespirabile l’aria di mezza londra. Che non è lo smog il problema. Ma il fritto.
Però anche questo non basta.
Le orde di friggitrici in ogni angolo, in ogni casa, non bastano a far dimenticare il resto. Perchè londra è davvero troppo. E’ davvero tanto.
Londra è vedere che tutti hanno le stesse possibilità. E’ vedere che nonostante le multinazionali esistono ancora piccole realtà. Esiste la forza di sognare, di cambiare. Di credere che ci possa essere qualcosa di diverso.
E qui ti senti all’estero. Ma non un estero nemico.
Perchè il gap tra ciò che è estero e ciò che ti fa sentire a casa, è davvero poco.
Andrea (sdl)
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