Per chi non lo sapesse il viral marketing (o marketing virale) è una forma particolare di marketing, di pubblicità. Niente di più niente di meno. Come wikipedia ci insegna la base di tale metodo è il passaparola che si autoalimenta. Qualcosa di così intrigante ed interessante che… dovete discuterne con altri.
Inutile ammetterlo : il marketing virale piace. Piace ai produttori quanto alle persone che iniziano a seguirlo. Sfrutta il subdolo principio della droga, della dipendenza da informazione in questo caso, per stimolare in chi legge la comunissima curiosità. Niente di più niente di meno. Ma sappiamo bene quanto siamo deboli ad essa, quanto essa ci freghi.Ed è proprio questo il punto, che il viral marketing si basa su una piccola regola non detta : Farvi sapere il meno possibile, o quanto basta.
Gli esempi più lampanti sono LOST e Cloverfield . Entrambi i casi sono stati magistralmente diretti da J.J. Abrams, ormai esperto atleta di quest’arte.Sebbene infatti il regista abbia fatto i suoi bei flop non si può negare che alcune delle sue opere abbiano raccolto, dal marketing, una vera e propria linfa vitale. Cloverfield, film discreto ma che altrimenti non avrebbe mai conquistato un così largo pubblico, è stato letteralmente animato dal marketing. I video proposti su internet erano sibilinni, atti solo a far nascere quel dubbio, quell’incertezza. D’altronde nessuno scarterebbe un qualcosa che non conosce. E questo quindi permette anche, nel caso dei film, di scavalcare la classicità dei trailer, delle anteprime. Permette di ignorare il loro valore e quindi alimentare il flusso di persone al cinema unicamente con dubbio.
Per Lost invece il lavoro è stato leggermente diverso. Cavalcando la giusta onda di share dovuta al successo della serie, Abrams ha ben pensato di alimentare la serie anche al di fuore del palco televisivo. Per lost sono stati creati una miriade di siti, collegati alla trama della serie tv, al solo scopo di fornire nuovi indizi e di permettere di “seguire lost” anche quando, in realtà, niente veniva trasmesso.Si parte dal sito della Hanso Foundation, o da quello della Ocean Airlines, per andare avanti fin dentro i meandri di tutta la serie, tra lavoratori ribelli della hanso, hackers, ed altro ancora.
Personalmente, se dovessi distinguere tra un marketing “Malato” ed uno “Sano“, mi permetterei di considerare malato il marketing di Cloverfield e sano quello di Lost. Perchè? Il motivo è semplice è lo si ricerca nella semplice regola dello scambio equo : Nella Lost Experience erano gli stessi lettori/fan a guadagnarci. Il marketing di Cloverfield è fine a se stesso, sterile, per certi versi superfluo, sebbene d’impatto ed efficace. Quello di Lost, per quanto ne condivida le radici ed alcune delle sue forme, rappresenta un metodo unico che ha consentito, alla serie, di avere una seconda vita.
Ma forse, e qui vado chiudendo questo piccolo sipario, proprio quest’eccitazione creata dal marketing virale è stata allo stesso contempo una delle cause del calo di spettatori nella terza serie di Lost. La curiosità era stata alzata troppo, e la posta in gioco pure. Rimangono i soliti interrogativi da fine riga. Quelli che probabilmente lo stesso Abrams si è posto, “E’ stata una scelta giusta?”, “Era meglio fare in un altro modo?”. Interrogativi che, almeno questa volta, non faranno scervellare i poveri spettatori con dubbi amletici su chi siano “The Others”, ma il suo stesso produttore.
Della serie : Mal voluto…
Andrea (sdl)
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